La qualità della vita nel paziente anti-HCV positivo con transaminasi normali
Intervista alla Prof.ssa Carmen Vandelli
Un aspetto spesso trascurato nelle valutazioni pre-trattamento è rappresentato dalle implicazioni sociali causate dalla sieropositività all'HCV.
Esistono pazienti che, dopo essere venuti a conoscenza di essere stati contagiati, paralizzano la loro vita, si privano di amore e affetto, si isolano e talvolta rifiutano l'aiuto perché non accettano di convivere con un virus infettivo trasmissibile; altri pazienti hanno problemi sul posto di lavoro, subiscono discriminazioni di vario genere, inclusi traumi affettivi, convinti di non potersi candidare a terapia in quanto portatori di transaminasi persistentemente nella norma.
Come associazione di pazienti, EpaC ha un grande vantaggio: riesce a raccogliere le confidenze, gli sfoghi, le paure, i disagi del malato e una serie di elementi che fanno parte a pieno titolo della "qualità di vita del paziente". La qualità di vita è un benessere fisico e mentale che varia nella misura in cui si rimuovono i disagi che limitano la vita del paziente, in parte con la comunicazione, l'educazione e l'informazione sulla malattia (counselling), e in gran parte con l'auspicabile risultato finale della terapia: l'eradicazione definitiva del virus.
Abbiamo chiesto un parere alla Prof.ssa Carmen Vandelli, probabilmente la ricercatrice Italiana più attiva e competente su questo particolare aspetto della malattia: il disagio e la qualità della vita.
La Prof.ssa ha fornito ben più che un parere, che intendiamo qui pubblicare integralmente:
L'espressione qualità di vita (QoL), coniata negli Stati Uniti intorno agli anni Cinquanta, si è sviluppata in tutte le società avanzate testimoniando come l'attenzione verso gli aspetti più complessi dell'esistenza risulti correlata al superamento della soglia del bisogno. Da alcuni anni, con l'evoluzione del concetto di salute intesa come uno stato di benessere che va oltre l'assenza di malattia1 e con l'affermarsi in medicina del paradigma bio-psico-sociale,2 si è sentita l'esigenza di approfondire l'analisi dei dati clinici, prendendo in considerazione anche la soggettività del paziente quale indice importante per verificare l'atteggiamento psicologico nei con¬fronti della malattia, la sua motivazione e la presenza di atteggiamenti non monitorabili clinicamente.
La qualità di vita, diventata una misura che integra i risultati clinici collegando fattori che riguardano la salute del soggetto in esame, è entrata sempre più nella pratica clinica in diverse patologie e rappresenta un importante strumento per il curante.
Stabilire cosa s'intenda per qualità di vita non è semplice e, forse, non sarebbe nemmeno possibile attraverso una definizione scrupolosa come è richiesto per altri parametri in campo medico. Questo perché, come si può intuire, si tratta di un concetto astratto, nel quale entrano in gioco variabili altamente soggettive e flessibili, modificabili in base alle esigenze dell'individuo.
Ormai da un ventennio varie discipline umanistiche e scientifiche collaborano per trovare una definizione il più possibile globale, multidimensionale e nel contempo specifica. Come suggerito da Apolone e coll. , 3 la definizione di Campbell del 1 9764 è estremamente articolata e ha il pregio di evidenziarne il carattere soggettivo, inserendovi il concetto di salute, che rappresenta però solo uno dei tanti fattori considerati.
La qualità di vita correlata alla salute (HRQoL) può essere definita come il grado di soddisfazione o di benessere per la propria vita, in rapporto allo stato di salute e allo stato funzionale. Si può affermare che la QoL è un insieme di reazioni dipendenti dalla sensibilità del singolo individuo, variabili pertanto da un soggetto all'altro, anche nella stessa condizione patologica, comprendenti reazioni emotive psicologiche come la preoccupazione del paziente per la malattia, l'ansia, la depressione ecc. Non deve sorprendere che la qualità di vita possa non coincidere con lo stato di salute oggettivo o con i sintomi della malattia o con i risultati diagnostici, parametri utilizzati dal curante a scopo diagnostico-terapeutico.
La valutazione dei risultati dei questionari sulla qualità di vita consente di cogliere i bisogni e di individuare i problemi del paziente, cui il medico deve prestare attenzione. Nei lavori scientifici che trattano questo argomento, i termini QoL e HRQoL sono ormai diventati sinonimi e vengono utilizzati in modo interscambiabile. Gli strumenti a disposizione del clinico sono questionari multidimensionali ampiamente validati. Tali strumenti sono incentrati sull'atteggiamento psicologico (benessere e stato mentale), sulla socialità, sulla condizione fisica e sulla salute in generale del paziente. Tra i più usati si ricordano il questionario Short Form-36,5 la scala della severità della fatica (FSS) e i questionari specifici per malattia come l'Hepatitis Quality of Life Questionnaire (HQLQ).
L'SF-36 si basa sulla valutazione di 8 aspetti correlati con la qualità di vita, che indagano lo stato fisico e psichico e la capacità di interazione sociale dell'individuo.
L'epatite cronica HCV-correlata è molto spesso accompagnata da una sintomatologia aspecifica, con astenia e malessere persistenti6-12 e indipendenti dalla gravità del quadro istopatologico epatico.13 A differenza dei malati con epatopatia HBVcorrelata, i pazienti con epatite C lamentano una riduzione generalizzata della qualità di vita. Dai dati disponibili in letteratura emerge che i pazienti anti-HCV-positivi presentano, con l'SF-36, una riduzione della per formance psichica più che fisica, con anomalie della sfera emotiva nel 35% della popolazione nei domini della somatizzazione, dell'ansia, della depressione e dello psicotismo.12,14
Ciò suggerisce un meccanismo virale diretto responsabile di queste alterazioni. Usando in vivo l'1H MRS, in pazienti HCV-positivi con epatite "mild" sono state documentate anomalie del metabolismo cerebrale con aumento del rapporto colina/creatina.9,15. Recentemente sono state dimostrate importanti anomalie del sonno e alterazioni nell'attenzione, senza alcuna correlazione con lo stadio della malattia. 16
La scarsa qualità di vita del paziente HCV è legata soprattutto alla consapevolezza della potenziale gravità dell'infezione e alla percezione della malattia, più che alla reale gravità della malattia in sé. Rodger e coll.17 hanno evidenziato che la conoscenza della dia¬gnosi di epatite da HCV implica una riduzione del punteggio in 7 su 8 domini del questionario SF-36, a dimostrazione di come l'informazione di essere HCV-positivi crei di per sé una condizione che dà origine a sintomi fisici influenzanti la qualità di vita. Foster e coll.18 hanno dimostrato che la riduzione della QoL nell'epatite cronica da HCV è indipendente dai livelli di alanino aminotransferasi (ALT).
Usando un questionario analogo all'SF-36 in soggetti con ALT persistentemente normali, von Wagner e coll.19 hanno dimostrato che la vita di relazione, l'entusiasmo per la vita, la fiducia nelle proprie capacità e l'autostima sono gli aspetti più penalizzati. Essi hanno inoltre riportato l'assenza di differenze tra i pazienti con epatite C e transaminasi normali o elevate.
Non è chiaro se la modificazione dello stato di percezione della salute sia attribuibile alla semplice presenza di viremia o ad altri eventi che si verificano come risultato del rilascio di citochine conseguente all'infezione da HCV,2° o se i disturbi neuropsichiatrici si debbano a un'azione diretta del virus, con la possibilità che l'HCV infetti il sistema nervoso centrale. Il recente riscontro, in sede autoptica, di sequenze virali nel tes¬suto cerebrale sembra avvalorare l'ipotesi che l'infezione diretta del sistema nervoso centrale sia la causa delle alterazioni cognitive e metaboliche.21
In letteratura, i test riguardanti la qualità di vita nei pazienti HCV positivi dimostrano una riduzione statisticamente significativa dello score rispetto alla popolazione sana di controllo17,18 e un miglioramento dopo il conseguimento di una risposta virologica sostenuta grazie alla tera pia antivirale.18,2°
Zeuzem e coll.22 hanno dimostrato che i pazienti con ALT persistentemente normali che rispondono alla terapia hanno un miglioramento significativo della qualità di vita all'SF-36 e dell'affaticabilità all'FSS rispetto ai non trattati.
Davanti a un test anti-HCV-positivo i pazienti, dopo l'iniziale sorpresa di incredulità, vivono sentimenti di rifiuto, di rabbia e di ostilità. Il sospetto di contagio avvenuto tramite il partner rischia di minare l'unione della coppia. In tali situazioni nascono sconforto, crisi d'ansia e angoscia, sindromi depressive, insonnia, irritabilità e altre patologie psicosomatiche che contribuiscono ulteriormente a peggiorare la qualità di vita del malato.
Quando si chiede ai pazienti anti-HCV-positivi di compilare i questionari indaganti la qualità di vita emerge evidente la percezione negativa della loro situazione. Molti lamentano stanchezza, scoramento e depressione e riferiscono sentimenti di angoscia e incertezza per il futuro, timore di contagiare i familiari.
Si instaurano così rapporti di diffidenza tra gli stessi componenti della famiglia, rinunce a rapporti affettivi per il rischio di diffondere il contagio e diversi pazienti vivono discriminazioni anche nel luogo di lavoro.
Solo l'identificazione tempestiva di questo disagio psichico consente di attuare la strategia terapeutica più opportuna e adeguata al singolo paziente. Non si deve poi dimenticare che il medico, definito un "placebo che cammina",23 è il primo farmaco24 che il paziente assume nel percorso terapeutico. Se il medico percepisce il paziente come malato e non come persona, e non si sforza di creare un'empatica alleanza, il quadro clinico può essere complicato da effetti collaterali di carattere emotivo che possono interferire con l'aderenza alla terapia: il paziente può sentirsi emarginato dalle decisioni, abbandonato e non compreso.
Questo vissuto è particolarmente importante in patologie come l'epatite cronica da HCV, dal momento che per lungo tempo tali entità nosografiche possono estrinsecare forte impatto più sulla qualità di vita in termini di angoscia che sul benessere fisico.
Al pari di quanto si osserva con qualsiasi patologia scoperta occasionalmente, in stato di apparente benessere, nel caso specifico di un soggetto infetto da HCV con ALT persistentemente normali la diagnosi di infezione è un evento destabilizzante di difficile gestione. Il benessere fisico, associato a indici di funzionalità epatica definiti normali dal clinico (ma è noto che la patologia non sempre evolve in modo benigno), rinforza la fase di rifiuto della malattia e di conseguenza anche l'eventuale trattamento.
È pertanto intuitiva l'importanza di un approccio integrato bio-psico-sociale che si spinga oltre l'irrinunciabile alleanza terapeutica medico-paziente, esercitata con il dialogo e con la disponibilità all'ascolto.
L'utilizzo dei questionari per il monitoraggio della HRQoL nei pazienti con infezione da HCV è uno strumento necessario per il paziente e indispensabile per l'operatore, che può trarre importanti informazioni al fine di migliorare il suo intervento a livello individuale, riducendo l'impatto che l'HCV ha sulla qualità di vita, e di programmare, nei casi in cui se ne ravvisi la necessità, un intervento di "counselling" psicologico personalizzato che miri ad analizzare gli stili di "coping" e a supportare il paziente nella gestione della patologia.
In questo modo, i questionari potrebbero esercitare anche una funzione terapeutica, colmando il senso di scoramento e d'abbandono che, troppo spesso, lamentano i pazienti con epatite cronica C durante la fase critica della terapia antivirale.
Prof.ssa Carmen Vandelli
Professore Associato Dipartimento Integrato di Medicine e Specialità Mediche, Medicina 1, Azienda Policlinico Universitaria di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia