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Chi sono i pazienti-partner che insegnano medicina accanto ai professori universitari

A ideare il progetto che ha l’obiettivo di migliorare la comunicazione medico-paziente è il medico Vincent Dumez, che a sua volta è stato in cura. L’idea sta rivoluzionando l’insegnamento . In Italia l’esempio seguito in Emilia-Romagna

Chi potrebbe insegnare a uno studente di medicina o di una professione sanitaria come sviluppare con i pazienti un rapporto collaborativo, una buona comunicazione, una relazione fondata su principi etici? La risposta migliore sembra essere: i pazienti stessi, una volta che sono stati a loro volta adeguatamente formati. Infatti, se i medici sono specialisti di una malattia, i pazienti lo sono sicuramente della loro malattia. Quindi il paziente ha una quota di competenza che può trasferire al medico, sulla base della propria quotidiana e purtroppo spesso decennale esperienza. È questo il principio da cui si è sviluppato il progetto canadese del «paziente partner», che ha portato alcuni pazienti a diventare co-docenti nei corsi universitari frequentati dai futuri professionisti sanitari.

L’esperienza di chi soffre

Dietro al progetto c’è l’impegno di un uomo appassionato, Vincent Dumez, co-direttore del Centre d’excellence sur le partenariat avec les patients et le public (Ceppp) di Montréal (Canada), che ha avuto un’esperienza di paziente lui stesso, e che si definisce «un grande utilizzatore del sistema di cura». Secondo quanto ha appreso dalla sua esperienza, chi soffre di una malattia cronica ha l’obiettivo di continuare a condurre una vita il più possibile normale e di seguire i propri progetti esistenziali. E il modo migliore per riuscirci è diventare il caregiver competente di sé stessi. Vincent Dumez è attualmente nei comitati direttivi di numerose istituzioni sanitarie pubbliche del Quebec e la sua iniziativa sta rivoluzionando l’insegnamento della Facoltà di Medicina. «A partire dal 2010 a Montréal abbiamo sviluppato un progetto nel quale i pazienti partner non solo insegnano nei corsi, ma contribuiscono anche a strutturarli» ha spiegato Dumez a Corriere Salute.

Collaborazione tra paziente e curante

«Il contributo formativo dei pazienti partner riguarda principalmente aree quali la collaborazione tra paziente e curante, la comunicazione e l’etica. Una sfida importante è che ognuno impari a valorizzare e riconoscere il sapere dell’altro. Uno scambio che avviene non solo nelle aule dell’università, ma anche in specifici workshop di riflessione, durante i quali gli studenti raccontano ai pazienti partner le esperienze difficili che vivono con i loro veri pazienti. È uno scambio molto coinvolgente sia per i pazienti, sia per gli studenti». All’inizio alcuni professori universitari hanno esitato, ma una volta coinvolti non hanno più voluto tornare indietro. «All’inizio il progetto non è partito in tutte le classi» racconta Dumez, «così a un certo punto avevamo professori che lavoravano assieme ai pazienti e altri non coinvolti. Ma quando questi ultimi hanno realizzato quanto fosse efficace il modello d’intervento, hanno chiesto di poter partecipare».

Diabete e salute mentale

È un percorso che sta aiutando a superare il modello della medicina paternalistica, nella quale il paziente non ha voce e tutte le scelte vengono fatte dal curante. Nel modello basato sul partenariato si realizza un miglioramento della qualità di vita non solo del paziente, ma anche del curante. E adesso sta per essere avviata una nuova esperienza, basata su stage clinici per studenti della durata di tre mesi, realizzati non in aula ma direttamente all’interno dell’ospedale, con un focus specifico sulla relazione di cura. «Alcune aree della Medicina, come cardiologia, pneumologia ed endocrinologia sono particolarmente sensibili» precisa Dumez, «per l’importanza rivestita dalla compliance verso la cura. Basti pensare all’esempio dei pazienti affetti da diabete , che devono essere educati e informati sulle attività di prevenzione. Un’altra area nella quale la relazione è molto importante è quella della salute mentale e adesso abbiamo addirittura due pazienti partner che sono entrati nel comitato di ammissione alla scuola di psichiatria».

Chi ha seguito l’esempio

«A Modena gli studenti dei corsi di laurea di medicina, infermieristica, ostetricia, terapia occupazionale e radioterapia sono formati in co-docenza con i pazienti, per preparare operatori capaci di cure più umane — dice Maria Stella Padula, docente di Medicina generale e Cure primarie al corso di laurea in Medicina e Chirurgia di Unimore e direttore del Laboratorio EduCare —. Un processo che risponde alle esigenze derivanti dall’aumento delle tecnologie di diagnosi e cura, che spesso deumanizzano la relazione medico paziente». I pazienti formatori che escono dall’Università possono trasmettere competenze trasversali, come la comunicazione della diagnosi, l’adesione alle cure complesse, l’adattamento ai limiti indotti dalla malattia, le difficoltà del fine vita. «I nostri pazienti e caregiver diventano formatori dopo essere stati selezionati e aver acquisito competenze specifiche in corsi di perfezionamento, per poter trasformare la propria storia in messaggi che aiutino studenti e professionisti a migliorare gli aspetti relazionali e l’organizzazione dei servizi. L’esperienza, oggetto di ricerche, ha portato l’Università a creare un Centro di formazione e ricerca con i pazienti, il Laboratorio EduCare, per l’insegnamento di una Medicina orientata alla persona con la malattia e non alla malattia». Maria Stella Padula pratica la medicina generale, è docente di questa disciplina nel corso di laurea a Modena e conosce i bisogni di cura dei pazienti e delle famiglie nel loro contesto di vita, quindi è convinta della necessità di cambiamento della formazione dei medici già durante il periodo universitario, con l’introduzione dei saperi complementari dei pazienti. «Conoscere Vincent Dumez a Montréal nel 2013 è stata un’illuminazione — dice — e ha avviato un percorso di collaborazione e incontri a cui hanno partecipato anche altri pazienti partner, come Mathieu Jakson e Marie-Claude Vanier della Facoltà di Farmacia di Montréal. Ne è derivato un accordo fra le università di Montréal e di Modena, con il supporto dell’attuale Rettore, Carlo Adolfo Porro».

Fonte: corriere.it


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