Triplice alleanza contro l' epatite c
Due farmaci di nuova generazione possono ora affiancare la cura tradizionale
Articolo de Il Secolo XIX - Ed. nazionale Pag. 13
di Federico Mereta
NONOSTANTE abbia contagiato circa due milioni di persone in Italia, l'epatite C viene ancora considerata poco. Manca una cultura specifica che consenta di non sottovalutare la gravità della situazione. Solo in Liguria i casi sarebbero circa 50.000 secondo quanto ricorda Antonino Picciotto, Responsabile dell'Unità operativa Diagnosi e Terapia Epatiti e dell'Ambulatorio trapianti di fegato dell'Ospedale San Martino di Genova. Ma molto spesso queste persone non vengono seguite regolarmente, magari perché i sintomi non vengono indagati a dovere e quindi il virus riesce a danneggiare le cellule del fegato. «Il problema è che in molti casi a distanza di ventitrent'anni dall'infezione vediamo direttamente le conseguenze gravi di questo quadro, ovvero la cirrosi e addirittura il tumore al fegato, che proprio l'azione del virus ha determinato» spiega Picciotto. Il richiamo all'attenzione è quindi massimo. La buona notizia è che sul fronte delle cure si registrano dei passi in avanti, l'importante è intervenire per tempo. Se è vero che più o meno il 30 per cento delle circa 30.000 persone che ogni anno la contraggono guarisce spontaneamente, negli altri il virus cronicizza. Prima dà un'infezione acuta che dura mediamente sei mesi e spesso non crea problemi.
Chi non elimina il virus in questo periodo, ed è la maggior parte delle persone, si trova un'infezione che apre la strada nei decenni alla cirrosi e al tumore. «Oggi possiamo fare di più anche per i malati che contraggono il virus di genotipo 1, quello più difficile da affrontare, grazie alla triplice terapia che aggiunge farmaci di nuova generazione al trattamento classico con interferone e ribavirina» dice Picciotto «questi medicinali sono gli inibitori delle proteasi, e possono essere impiegati in base alla scelta del medico nei pazienti di nuova diagnosi o, ed è il caso più frequente, quando le cure disponibili non tengono sotto controllo l'infezione. Più o meno sei persone su dieci tra quanti non rispondono alle cure standard possono controllare l'infezione grazie a questi medicinali perché nel fegato non c'è più il virus e se questo scompare dal fegato si arresta la progressione dell'infezione.
Addirittura a volte si può evitare il trapianto di fegato». In Liguria, al momento, l'impiego di queste cure è ancora molto limitato anche per il costo che impone alle casse della sanità. Va comunque detto che le indicazioni all'impiego della triplice terapia è attualmente ristretto. «Secondo il Documento dell'Agenzia Sanitaria Regionale nel 2013-2014 dovrebbero essere trattati con la triplice terapia circa 500 persona, con un costo di circa 10 milioni di euro» aggiunge Picciotto «l'importante è però ricordare che questi farmaci non sostituiscono quelli usati da più tempo, ma si integrano con essi». Oggi si sa che la patologia impone la massima cautela. Non così un tempo, quando ancora non se ne conosceva l'esistenza. Un periodo, non troppo lontano, che purtroppo ha lasciato drammatiche conseguenze. A cominciare da quelle 7000 persone che in Italia, oggi, vivono nell'attesa che venga riconosciuto in diritto al risarcimento del danno dal Ministero della salute, perché hanno contratto l'epatite C in seguito a una trasfusione, nell'epoca in cui ancora non si sapeva dell'esistenza di questo virus.
A ricordarlo è Ivan Gardini, presidente EpaC onlus (www.epac.it). «Il Ministero è ancora in fase di studio per uscire da un'impasse che appare anche legata a recenti sentenze, che certo non contribuiscono a chiarire chi e come può avere diritto al risarcimento definendo contorni certi» spiega Gardini «eppure occorre decidere anche per rispondere alle persone che sono rimaste con il cerino in mano. D'altro canto, va detto che questo numero è minimo rispetto a quanti probabilmente hanno contratto l'infezione attraverso le trasfusioni in quegli anni, visto che dalle nostre stime si pensa che circa mezzo milione di persone in Italia ha contratto il virus per quella via. In tanti non sanno di questa possibilità, altri purtroppo sono già morti per le complicanze dell'infezione. La sensazione che le trasfusioni effettuate prima degli anni '90, quando poi è stato individuato il virus e quindi le trasfusioni stesse sono diventate sicure sotto questo aspetto, siano davvero un problema è confermato anche dalla nostra attività: su circa 12.000 consulenze che offriamo ogni anno alle persone, il 30 per cento sono proprio relative a tematiche legate alle trasfusioni. Ciò che conta, a mio parere, è che alla fine sia garantita l'equità per tutti coloro che hanno sofferto di una malattia così grave in seguito ad una trasfusione di sangue».
Leggi l’articolo