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Fda approva sofosbuvir, inizia una nuova era nella cura dell'epatite C

E’ una decisione storica quella dell’Fda che apre una nuova era nella cura dell’epatite C, una infezione del fegato che a livello mondiale colpisce oltre 170 milioni di persone e che può portare alla cirrosi e al cancro al fegato.

L’agenzia americana ha approvato l’impiego clinico di sofosbuvir, analogo nucleotidico a somministrazione orale monogiornaliera, in combinazione con ribavirina per il trattamento dell’infezione cronica da virus dell'epatite C nei pazienti adulti con infezione di genotipo 2 (12 settimane di cura) e 3 (24 settimane di cura). Associato a interferone e ribavirina potrà essere utilizzato anche nei pazienti infettati da virus di genotipo 1 e 4 (12 settimane).

Si tratta del primo farmaco approvato che, almeno in una parte dei pazienti, consente una cura della malattia senza interferone e con alti tassi di guarigione, i più alti mai riscontrati finora. Sofosbuvir sarà messo in commercio da Gilead, l’azienda che lo ha sviluppato, con il marchio Sovaldi. In Usa il costo complessivo di una terapia di 12 settimane sarà di circa 84 mila dollari.

L'approvazione del prima pillola contro il virus dell'epatite C che si può usare in alcuni casi senza l'iniezione con interferone, ''e' una notizia storica, una rivoluzione nella terapia di questa malattia che causa nel nostro Paese 10.000 morti l'anno''. Lo afferma Antonio Gasbarrini, professore ordinario di gastroenterologia all'Università Cattolica di Roma. Il farmaco ''è il primo antivirale con azione diretta che unisce una grande efficacia a bassi effetti collaterali - ha aggiunto lo studioso - e che potrà essere utilizzato anche nei malati più gravi per diminuire la progressione della malattia''. Il farmaco può essere utilizzato da solo senza interferone per combattere un sottotipo di virus (genotipo 2).
''A causa dell'elevato costo che si aggiunge ad altri farmaci si dovrà valutare la sostenibilità della spesa al momento della registrazione da parte dell'agenzia dei farmaci europea (Ema) e in Italia''.

L’approvazione di oggi rappresenta un salto significativo nel paradigma di cura di molti pazienti con epatite C” ha commentato Edward Cox, direttore dell’Ufficio dei prodotti antimicrobici dell’Fda. Il farmaco è un “game changer” che consente alti tassi di cura con sole 12 settimane di terapia –ha detto David R. Nelson, Professore di medicina all’Università della Florida. "Oggi abbiamo fatto un passo avanti fondamentale per il trattamento dell'epatite C, aprendo la via a nuove possibilità di fermare la diffusione di questo virus e le gravi conseguenze di questa malattia", ha detto in una nota John Ward, direttore della Divisione epatiti dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) di Atlanta.

La domanda di approvazione di nuovo farmaco per sofosbuvir è avvalorata principalmente dai dati derivati da quattro studi di Fase III, NEUTRINO, FISSION, POSITRON e FUSION, in cui la terapia a base di sofosbuvir della durata di 12 o 16 settimane si è dimostrata superiore o non inferiore alle opzioni terapeutiche attualmente disponibili o ai controlli storici, in base alla percentuale di pazienti che hanno esibito una risposta virologica sostenuta (HCV non rilevabile) 12 settimane dopo il completamento della terapia (SVR12).

Durante l'esame sono stati allegati alla domanda NDA i dati derivati da un ulteriore studio di Fase III denominato VALENCE. Nello studio di cui sopra sofosbuvir e ribavirina sono stati somministrati a pazienti con infezione di genotipo 3 da virus dell'epatite C (HCV) per 24 settimane. Nei pazienti che raggiungono un'SVR12 l'infezione da HCV è considerata debellata.

Sofosbuvir è un inibitore appartenente alla classe degli analoghi nucleotidici dell'enzima polimerasi NS5B dell'HCV, che svolge un ruolo fondamentale nella replicazione dell'HCV. Sofosbuvir è un agente ad azione diretta, il che significa che interferisce direttamente con il ciclo di vita dell'HCV reprimendo la replicazione virale. Sofosbuvir è un prodotto sperimentale, la cui sicurezza ed efficacia non sono ancora state stabilite.

Come abbiamo visto, per i genotipi 2 e 3 il farmaco potrà essere utilizzato senza interfeorne, mentre nei genotipi 1 e 4 l’interferone rimane necessario. Sono attualmente in sviluppo altri farmaci anti epatite C che potranno essere impiegati nel genotipo 1 senza la necessità dell’interferone. In questi pazienti il medico dovrà valutare la gravità della malattia - ha affermato il dottor Terrault, professore di Medicina e direttore del dentro sull’epatite virale dell’Università della California a San Francisco – e su questa base decidere se iniziare subito con il farmaco (stadio 3-4) oppure se il paziente si può permettere di aspettare che arrivino gli altri farmaci che almeno altre quattro società farmaceutiche stanno sviluppando. Questi farmaci dovrebbero arrivare (in Usa) nei prossimi 18 mesi.

La stessa Gilead sta sviluppando un’associazione precostuita di sofosbuvir e ledipasvir (inibitore del NS5A), che in studi recenti ha dato il 100% di successo.

L'approvazione definitiva negli Usa del farmaco a base di sofosbuvir era molto attesa (in Europa dovrebbe essere approvata a inizio 2014) e segue quella avvenuta a fine novembre di un'altra pillola, a base della molecola simeprevir, utilizzabile (con l'interferone e la ribavirina) contro il genotipo 1 dell'epatite C che rappresenta il 50% di tutte le infezioni.

Secondo gli esperti gli scenari che si aprono con queste nuove molecole sono davvero rivoluzionari: ''da tassi di guarigione dall'infezione con il virus dell'epatite C oggi abbastanza modesti (del 45%) si arriverà a tassi di efficacia dell'80-95%", con trattamenti di breve durata e pochi effetti collaterali, secondo quanto spiegato da Massimo Colombo dell'università di Milano.

L'obiettivo sarà eradicare non solo il virus ma diminuire la progressione della malattia e dunque la mortalità. A fronte di questo si dovrà preventivare un enorme esborso di denaro per la sanità pubblica. Ma secondo i primi scenari tracciati dagli economisti sanitari del Ceis di Tor Vergata, i risparmi potrebbero andare da un minimo di 11 milioni di euro dal 2015 ad un massimo di 44 milioni di euro nei successivi 15 anni.

La malattia è stata scoperta in tempi relativamente recenti: la sua esistenza fu ipotizzata nel 1970 quando fu definita “epatite non A non B” (altre due forme di epatite già note e per cui esistono vaccini) e la sua esistenza è stata confermata in via definitiva nel 1989.
Ciò ha consentito di mettere a punto dapprima test in grado di scoprirne l’esistenza, soprattutto nel sangue dei donatori e, adesso, poi progressivamente di individuare nuove cure che adesso fanno un ulteriore balzo in avanti.

Danilo Magliano

Fonte: Pharmastar

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